IL DIRITTO ALLA VITA NON PUÒ ESSERE “RIVISTO”, VA ESERCITATO IN LIBERTÀ

da | Lug 26, 2022 | Attualità, Legalità | 2 commenti

Nei giorni scorsi il governo (Ministero della Salute) ha attaccando un giudice (il Tribunale di Firenze) che ha dato tutela, in sede cautelare, a un lavoratore non vaccinato, anche in considerazione della pendenza di numerose ordinanze di remissione davanti alla Corte costituzionale circa la legittimità dell’imposizione.

Il principio della divisione dei poteri richiede ai giudici di tutelare i diritti, se del caso anche contestando la legittimità costituzionale delle disposizioni; alle amministrazioni di prendere atto delle sentenze; al governo, invece, sarebbe richiesto di non ingerirsi nell’attività giurisdizionale, la cui autonomia è garanzia per tutti.

Completamente trascurata, invece, è stata una decisione, questa sì, che avrebbe richiesto l’attenzione dei commentatori.

Mi riferisco a una decisone del Tribunale di Roma.

Il giudice romano non ha accolto una domanda cautelare contro le normative che richiedevano la certificazione verde per numerose attività. Sul punto, l’argomentazione è coerente. Un presupposto indefettibile della tutela cautelare è, infatti, rappresentato dal periculum in mora, ossia dalle conseguenze negative che il ricorrente potrebbe subire nell’attesa del giudizio di merito. In questo caso, osserva il giudice, tale pericolo non sussiste perché la certificazione verde non è più attuale. Il giudice, rilevando l’assenza di un presupposto essenziale della tutela cautelare, avrebbe potuto e dovuto fermarsi, rigettando il ricorso.

Invece ha proseguito. E non si è limitato a verificare se sussistesse o meno l’altro presupposto (il fumus boni iuris), ma si è addentrato non solo in un giudizio prognostico dell’esito della sentenza che la Corte costituzionale emetterà il 29 novembre (i cui esisti, al momento, credo non li sappiano nemmeno gli stessi giudici costituzionali, non essendosi ancora riunititi per affrontare la questione), ma è andato oltre. Se un giudice scrive che «La Corte Costituzionale dovrà [sic!] – in risposta – modulare necessariamente i propri precedenti» non solo sta chiaramente trasbordando dalle proprie competenze (fra le quali certamente non rientra né il vaticinio su come si pronuncerà il giudice costituzionale né, tantomeno, l’offerta di consigli o suggerimenti non richiesti) ma, nel merito, sta ponendo le premesse per scardinare un pilastro della nostra democrazia costituzionale. Non si tratta solo del tono perentorio (il «dovrà»), rivolto da un giudice civile ai giudici costituzionali, ma anche e soprattutto del merito della questione: «dovrà modulare necessariamente i propri precedenti», graniticamente affermati da una costante giurisprudenza che verte su una delle questioni più profonde del diritto costituzionale che caratterizza la stessa democraticità dell’ordinamento.

Il periodo di confusione che la gestione di questa emergenza ha prodotto è l’unica scusante che può avere il giudice capitolino. Rivedere gli orientamenti tradizionali in materia equivarrebbe, infatti, ad abrogare in via interpretativa l’art. 32 della Costituzione che tutela un bene ancora più prezioso del tradizionale habeas corpus: la salute, cioè la vita stessa, rendendola sacrificabile per il bene collettivo (come accaduto in altre epoche storiche quando la decisione su cosa fosse il bene collettivo apparteneva allo Stato).

Carlo Iannello

 

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2 Commenti

  1. Engel

    In tutte le attività giurisprudenziali, é di norma richiesto l’esercizio del cosiddetto *buon senso del padre di famiglia”.
    Quando anche i giudici lo accantonano, addirittura in vaticinio delle sentenze costituzionali, credo che possiamo asserire che la macchina giudiziaria abbia qualche difficoltà di funzionamento, e per così dire, abbia necessità di un tagliando.
    Speriamo che il vaticinio non sia in realtà una premonizione

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  2. Silvia Santa Stawski

    Inorridita da questo giudizio nettamente di parte, evidentemente non ha studiato abbastanza

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