Oggi come non mai, c’è da chiedersi se siamo davvero una democrazia. La domanda potrebbe suonare provocatoria, ma è tutt’altro che peregrina. Se guardiamo alla storia d’Italia, dalle sue origini unitarie fino ai giorni nostri, emerge un filo rosso che attraversa ogni epoca: quello della promessa democratica continuamente disattesa, compressa, manipolata o subordinata ad altri interessi.
In gioco non c’è solo la memoria, ma la comprensione stessa del presente, figlio di una storia intricate, fatta di scelte, silenzi e verità rimaste sepolte.
Partiamo dal 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, che non è certo il frutto di un processo democratico partito dal basso. L’Unità si realizza con le armi, la diplomazia dinastica e l’appoggio delle potenze europee, soprattutto la Francia e il Regno Unito. Il Sud viene annesso militarmente, e la successiva “normalizzazione” passa per leggi speciali, repressione e un brigantaggio che, a distanza di oltre un secolo, alcuni storici leggono oggi come una guerra civile non dichiarata.
Il nuovo Stato nasce con una monarchia costituzionale che esclude il popolo dalle decisioni fondamentali. Nel 1861 votava meno del 2% della popolazione, e i grandi latifondisti sedevano accanto agli ex generali borbonici, nel nome dell’ordine. Se vogliamo ritenere quindi la nascita dell’Italia il 1861, è evidente che non nacque democratica. La sua origine è quella di una occupazione militare e istituzionale, non di una scelta popolare.
Per quanto riguarda il ventennio fascista non fu un colpo di Stato improvviso, ma una progressiva trasformazione autoritaria della legalità liberale. Mussolini ricevette l’incarico da Vittorio Emanuele III, fu sostenuto da gran parte delle élite industriali e militari, e godette del silenzio complice di molti Paesi europei. Quando crollò il regime, nel 1943, lo Stato non fu epurato: buona parte della burocrazia, della magistratura e delle forze dell’ordine transitò senza traumi dalla dittatura alla nuova Repubblica.
Con la Costituzione del 1948 va in scena una nuova farsa che proclama la nascita della Repubblica fondata sul lavoro …… e sui segreti.
Nasce una nuova Italia, sulla carta la più avanzata del continente per diritti sociali. Ma nella realtà, il Paese resta fortemente condizionato dalla Guerra Fredda, dal Patto Atlantico e dal peso crescente degli Stati Uniti. A partire dagli anni ’50, l’Italia ospita basi NATO, missili nucleari, e una rete di intelligence parallela più o meno occulta, rimasta segreta fino al 1990. Oggi sappiamo, grazie a inchieste e documenti desecretati, che la famigerata Gladio, non era solo una rete anti-invasione, ma uno strumento di controllo interno pronto a intervenire in caso di ‘deriva democratica’.
Ancora oggi non è chiaro qual è stato il peso ed il ruolo dei servizi tra gli anni che vanno dal 1969 e il 1984, periodo in cui l’Italia vive una lunga stagione di sangue: Piazza Fontana, Brescia, Bologna, Italicus, Ustica. Stragi quasi mai pienamente chiarite, in cui pezzi deviati dello Stato hanno coperto, depistato o addirittura orchestrato. A distanza di decenni, molte verità sono emerse solo grazie a magistrati isolati, giornalisti ostinati, o sentenze tardive.
Negli anni ’90, la fine della Guerra Fredda coincide con Tangentopoli e la dissoluzione dei partiti storici. Ma non nasce una nuova stagione di democrazia partecipata. Al contrario: il potere si sposta dai partiti ai tecnici, dai cittadini alle agenzie di rating, dai parlamenti ai mercati. L’Italia entra nell’euro senza un referendum. Firma trattati europei che impongono vincoli economici e sociali mai discussi dal popolo e che hanno segnato nel tempo la retrocessione dell’Italia a fanalino di coda dell’occidente.
Oggi la politica è ostaggio dei sondaggi, l’informazione si concentra in pochi grandi gruppi, e il Parlamento ha perso centralità. Le decisioni più sensibili – in campo militare, sanitario, energetico – vengono prese in ambienti ristretti, blindati, spesso fuori dal controllo democratico. Nel frattempo, la partecipazione politica crolla, l’astensionismo cresce, il lavoro si precarizza. E ai cittadini non resta che applaudire – o subire – decisioni già prese altrove che ovviamente sono ben lontane dal rispondere ai reali bisogni del popolo italiano.
Tutto ciò non è però ancora ritenuto sufficiente per la limitazione dell’esercizio dei diritti fondamentali e come d’incanto, senza che ci siano particolari tensioni sociali che ne giustifichino il ricorso, si arriva all’approvazione del DDL 1660 che rappresenta un ulteriore passo verso la limitazione della sovranità popolare. Questo provvedimento introduce misure che restringono il diritto di protesta e ampliano i poteri dei servizi segreti. Tra le misure più controverse: criminalizzazione delle manifestazioni pacifiche, aggravanti per le proteste contro opere pubbliche, e poteri rafforzati ai servizi con minori controlli giudiziari.
Purtroppo in Italia, la democrazia è stata spesso un contenitore vuoto. Il DDL 1660 ne è solo l’ultima manifestazione: un passo indietro nella libertà e un passo avanti verso uno Stato permanente.
La storia però ci insegna che le democrazie vere non nascono dalle concessioni del potere.
Nascono dal coraggio dei cittadini che al potere non credono sulla parola, ma lo pretendono trasparente, controllabile, revocabile. È solo una questione di scelta se restare sudditi di una finta democrazia, oppure avviare una nuova stagione di partecipazione politica per la ricostruzione di un Paese democratico e trasparente.
Ciro Silvestri
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