Santo Padre,
In questo ferragosto in cui si celebra l’assunzione in cielo di colei ne che tutti ci difende, noi Vi chiediamo aiuto per chi non ha difesa.
Ci rivolgiamo pubblicamente a Lei come sovrano della Chiesa Cattolica, come vescovo di Roma, e come katechon di una umanità che appare smarrita, divisa, a se stessa nemica.
Il saluto di pace con cui è iniziato il Suo pontificato ci incoraggia a nutrire una profonda speranza, nel sottoporre alla Sua attenzione l’impegno di un uomo che nel nome della pace è perseguitato.
Un prigioniero politico condannato a due anni di prigionia nel carcere di Rebibbia a Roma, non tanto per i suoi reati, quanto per essersi opposto alla guerra che incombe su di noi.
Dal carcere l’uomo sta dedicando le proprie forze ai diritti e alla dignità dei detenuti, dignità e diritti negati da condizioni detentive per le quali il nostro paese ha subito diverse condanne internazionali.
Santo Padre,
Noi non Le chiediamo nulla per lui.
Non chiediamo la sua liberazione, anzi non vorremmo allontanarlo da coloro che sta difendendo.
Ma per costoro noi Le domandiamo tutto:
supplichiamo una sua visita ai detenuti di Rebibbia, nella memoria vivente di colui che disse “ero in carcere e mi avete visitato.”
Perché nelle carceri d’Italia, Santo Padre, ogni uomo è un prigioniero politico senza nome, ogni donna e ogni uomo e ogni bambino è un fratello più piccolo che attende d’essere ricordato.
Con fiducia
Professor Studente Davide Tutino
Segretario territoriale – SINDACATO FISI ROMA
0 commenti