Negli ultimi anni, molti di noi hanno osservato con crescente sorpresa come alcune organizzazioni – sindacati, partiti, associazioni nate anche in tempi recenti per rispondere a nuove urgenze – abbiano spesso agito in modo distante rispetto al loro mandato originario. Invece di tutelare i diritti e il benessere dei cittadini, queste realtà si sono talvolta allineate a logiche di potere o hanno scelto il silenzio proprio nei momenti in cui sarebbe stato necessario alzare la voce.
Così, di fronte a pressioni governative difficili da comprendere e a decisioni che hanno avuto conseguenze drammatiche per molti – dalla perdita del lavoro, alla salute, fino alla stessa vita – chi avrebbe dovuto rappresentare e difendere i cittadini è rimasto spesso inerte.
In questo contesto, il termine “dissenso” è tornato al centro del dibattito pubblico, etichettando chiunque osasse contestare o semplicemente porre domande. Ma la marginalizzazione del dissenso non è certamente una novità: nel corso della storia, la creazione di “nemici dello Stato” e l’emarginazione delle voci critiche sono stati strumenti ricorrenti per il mantenimento del controllo sociale. Queste dinamiche, tutt’altro che occasionali, affondano le proprie radici in processi storici profondi, manifestandosi in forme diverse a seconda dei contesti politici e sociali
Dall’Antichità al Medioevo: esclusione e stigmatizzazione
Fin dall’antichità e per tutto il Medioevo, il potere politico e religioso ha utilizzato l’esclusione e la stigmatizzazione per rafforzare la propria autorità. Malati, disabili, poveri, mendicanti e stranieri erano spesso considerati elementi “pericolosi” o “devianti”, sottoposti a misure repressive e criminalizzati dalle autorità. L’emarginazione non era solo sociale, ma anche legale: chi non rientrava nei canoni della “normalità” veniva espulso, punito o addirittura sottoposto a pene corporali. Il controllo sulle categorie marginali serviva a rafforzare la coesione interna e a giustificare l’esercizio del potere[1][2].
L’Illuminismo e la dialettica dell’esclusione
Anche l’epoca illuminista, spesso celebrata come il trionfo dei diritti e dell’uguaglianza, presenta un lato oscuro: la nascita delle teorie razziste e la giustificazione dello sfruttamento di interi gruppi umani. L’emancipazione dei cittadini europei si accompagnava, paradossalmente, alla negazione dei diritti per le popolazioni colonizzate. Il progresso di una parte della società veniva “pagato” con l’esclusione e la violenza verso altre categorie, considerate inferiori o pericolose.
La società disciplinare e la criminalizzazione del dissenso
Con la nascita dello Stato moderno e la società disciplinare, come analizzato da Foucault, il controllo sociale si fa più pervasivo. La società si organizza in ambienti chiusi (famiglia, scuola, fabbrica, caserma, carcere) che disciplinano gli individui e reprimono ogni forma di devianza o dissenso. La criminalizzazione di comportamenti “anormali” o “pericolosi” diventa uno strumento per mantenere l’ordine e consolidare le gerarchie sociali.
Rivoluzione Culturale: la Cina di Mao e la demonizzazione del dissenso
Un esempio emblematico di emarginazione del dissenso è rappresentato dalla Rivoluzione Culturale cinese (1966-1976). Mao Zedong, per riaffermare il proprio potere, mobilitò i giovani contro i dirigenti e gli intellettuali accusati di “revisionismo” e di deviazione dalla linea ufficiale. Il dissenso veniva demonizzato e i critici del regime furono relegati all’ultimo gradino della scala sociale, classificati come “nona categoria puzzolente”. La repressione si fece sistematica, con persecuzioni, umiliazioni pubbliche e incarcerazioni[5].
Germania nazista: il nemico interno come strumento di controllo
Il regime nazista portò all’estremo la costruzione del “nemico interno”. Dopo la presa del potere, Hitler instaurò una dittatura totalitaria, eliminando le libertà civili e perseguitando sistematicamente oppositori politici, minoranze ebrei e altri gruppi considerati “impuri”. La propaganda contribuiva a diffondere l’idea di una comunità minacciata da nemici interni ed esterni, legittimando la repressione e la violenza. L’uso della Gestapo, dei campi di concentramento e dei tribunali speciali serviva a soffocare ogni forma di dissenso e a mantenere la popolazione sotto controllo.
Quindi “nulla di nuovo sotto il sole”. La storia dimostra che l’emarginazione del dissenso e la creazione di nemici dello Stato sono strategie ricorrenti, adottate per rafforzare il controllo sociale e consolidare il potere. Dai meccanismi di esclusione medievali alle sofisticate forme di repressione dei regimi totalitari del Novecento, questi processi si sono adattati ai diversi contesti storici, ma hanno mantenuto una sorprendente continuità.
Ed è ciò che accade ancora oggi, e se leggiamo ciò che accadde nel passato potremo renderci conto di cosa potrebbe aspettarci nel futuro.
Carlo Makhloufi Donelli
Nato a Villerupt (F) il 12.02.1956 – Studioso e Ricercatore in fisica quantistica applicata a biologia molecolare e neuroimmunologia – Membro del board di ricerca scientifica di diverse organizzazioni nazionali ed internazionali – Ideatore e Coordinatore del progetto EDIPO «Eliminazione isole di plastica oceaniche»
Le fonti che ho consultato per scrivere questo articolo:
- Società disciplinare e classi pericolose nell’Italia del XIX secolo
- Il controllo sociale tra Stato, organizzazione politica della società e devianza
- Rivoluzione culturale – Wikipedia
- Germania nazista – Wikipedia
- Il discorso razzista come giustificazione dello sfruttamento e dell’esclusione sociale
- Marginalità sociale – Historisches Lexikon der Schweiz
- https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/015987/
- https://www.adir.unifi.it/rivista/2009/campesi/cap3.htm
- https://www.machina-deriveapprodi.com/post/il-discorso-razzista-come-giustificazione-dello-sfruttamento-e-dell-esclusione-sociale
- https://www.academia.edu/79986394/Il_controllo_sociale_tra_Stato_organizzazione_politica_della_società_e_devianza
- https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_culturale
- https://it.wikipedia.org/wiki/Germania_nazista
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